
15. L’arte del gusto e il “buono da morire”.
Da ranocchietta-fava, per diventare principe-cioccolato, la nostra materia prima ha fatto un lungo viaggio: un viaggio che può durare da alcuni mesi ad oltre un anno.
Durante il tragitto il nostro principe è stato irraggiato, tostato, potassato, concato, raffinato, pressato e ricotto per almeno un altro paio di giorni.
“Avete presente cosa resta di un'insalata dopo tre giorni di cottura...?”
Il mio amico nutrizionista una volta mi ha scioccato con questa metafora dell’insalata, riferendosi chiaramente ai tre giorni medi di cottura delle fave di cacao prima di diventare cioccolato.
Allora ero molto più giovane e incurante. E il mio amico era per i miei gusti un po’ troppo “integralista”. Così non gli ho dato spazio più di tanto e ho continuato a mangiare con passione l’amata cioccolata, senza che nemmeno lontanamente mi passasse per la mente l’idea di associarla ad un'insalata cotta per tre giorni – e irraggiata, e potassata!
“Integralista...” Chissà perché questa parola ha assunto nel tempo un'accezione così negativa. La parola in sé richiama alla mente la ricerca di qualcosa di integro. È come se non volessimo più le cose pure e...ma questo è tutto un altro discorso!
Ritornando al nostro principe cioccolato: che cos’è nutrizionalmente rimasto di quelle preziose fave di cacao?
Al solo pensarlo mi tornano in mente le roboanti affermazioni del maestro cioccolatiere sul palco di quella conferenza a Milano:
“Tutta questa moda dell’associare una funzionalità al cioccolato e ad altri alimenti è assurda: come se dovessimo assumerli perché sono delle medicine che ci fanno bene o che ci fanno guarire!”
E contemporaneamente mi ritorna in mente l’espressione incredula di un altro mio amico, seduto in prima fila, sempre a quella conferenza, che faceva fatica a capacitarsi per cosa stava ascoltando, come se non riuscisse proprio a crederci.
Amico che poi mi ha inseguito, a microfoni spenti, rimproverandomi di aver fatto passare lisce quelle affermazioni al cioccolatiere:
“Ma come? Ma in che mondo siamo finiti? Com’è mai possibile che il cibo sia dissociato dalle sue proprietà benefiche, dal nutrire, dall'essere portatore di benessere?!? Tutti i cibi sono guaritori! E prima ancora dell’essere guaritori, creano il benessere e la salute, che rendono la guarigione superflua. Com’è possibile che si sia finiti a parlare di solo “gusto”? Com’è possibile che si sia arrivati a creare dei prodotti così...“buoni da morire”!? Non dovrebbero tutti i prodotti essere buoni da far bene?!? Buoni da far vivere!?”
Gli occhi strabuzzati e contorti del mio amico sottolineavano la sua incredulità, ma anche un pizzico di risentimento nei miei confronti per non aver voluto replicare adeguatamente al cioccolatiere durante quella conferenza.

16. L’arte dell’industria alimentare.
“Ma lo sai che cos’è tutta l’industria alimentare? Qual è il vero compito della scienza dell’industria alimentare oggi?”
Io guardo il mio amico un po’ sperduto, non avendo idea di dove voglia andare a parare. “Quello di studiare e trovare delle soluzioni artificiali per far sembrare fresco e fragrante un prodotto che in realtà è vecchio, adulterato e non vivo. E per farlo stare per degli anni sugli scaffali di un supermercato, rendendolo appetibile simulando quella freschezza.”
“Anche lui è un po’ integralista”, ho pensato anche di quest’altro amico; ma mi sono subito morso la lingua, come a non voler cascare nella sintassi-melassa che, in questo mondo, tutto omogenizza e annulla, schedando, dando delle definizioni e soffocando la consapevolezza in quelle stesse schedature.
Ho fatto un respiro profondo e mi sono immediatamente ricordato il significato originario della parola; e pensando al mio amico come ad una persona integra, mi si è addolcito lo sguardo e gli ho dato una pacca complice sulla spalla.